Note di lavoro dal Salone.SRI Roma 2024 di Chiara Buongiovanni, SIA

“Le parole sono importanti, e lo sono anche i nomi che diamo alle politiche”. Subito chiarito dalla presidente di Social Impact Agenda per l’Italia e Global Ambassador GSG Impact, Giovanna Melandri, in apertura del Salone.SRI Roma 2024. “Il Green Deal non ha a che fare solo con gli impatti ambientali, ma anche e inevitabilmente con importanti e imprescindibili impatti sociali. Chiamiamolo Social Green Deal”. Questa consapevolezza porta con sé uno sguardo più largo e più profondo sui territori e sulle oggettive difficoltà e incertezze nonché aspirazioni riguardo alla necessaria e incalzante transizione disegnata da Bruxelles. Allargare la prospettiva comporta, del resto, una necessaria riflessione e rivisitazione del ruolo della finanza, sia essa pubblica o privata, e del suo rapporto con gli ecosistemi e le filiere produttive.  Al  centro, migliaia e migliaia di piccole medie imprese.

Strategie di portafoglio per il Social Green Deal

Ad avviare la discussione sul tema “La finanza a impatto per una transizione giusta”, Mario La Torre, Professore di Economia degli intermediari finanziari. Si parte dagli spunti emersi dai Tavoli di lavoro coordinati da Linklaters, Morningstar e MSCI. Tra i primi punti, il ruolo dell’azionariato attivo in una strategia di impact investing orientata a sostenere la transizione giusta sui territori. “Il tema dell’azionariato attivo va inserito non a valle ma a monte della strategia di composizione del portafoglio di investimenti in ottica ESG” ha precisato La Torre. E ha sottolineato la necessità di passare da una strategia orientata ai best in class a una capace di sostenere i best in effort.  Non sempre e non necessariamente le migliori imprese, ma quelle che si stanno impegnando di più sulle dimensioni ESG. “La sostenibilità è transizione”, ha ben sintetizzato e proprio su questo l’azionariato attivo deve poter giocare un ruolo fondamentale.

“S” di sperimentare 

Alle banche l’appello a sperimentare di più in termini di metriche sociali. È vero che c’è ben poco della S nell’attuale quadro di tassonomia europea. Al tempo stesso esiste un forte tema di inclusione finanziaria nel mercato attuale e questo apre un campo di sperimentazione importante”, ha concluso La Torre.
Ripreso da Melandri il focus sui best in effort in tema di investimenti a impatto. Questa sembra essere una strada necessaria per assicurare che il monito della Commissione europea “nessuno sia lasciato indietro” non resti che uno slogan o poco più. “Indietro non si torna, il mercato ha registrato il cambiamento” ha affermato la presidente di SIA. Al tempo stesso ha sottolineato la necessità urgente di individuare e ingegnerizzare modalità e strumenti di accompagnamento, inclusione e supporto per le PMI. Si tratta di lavorare su meccanismi di finanza a impatto innovativi, nel privato come nel pubblico, a partire da appalti e garanzie pubbliche fino a forme di fiscalità a sostegno degli investitori a impatto.

Adottare la prospettiva di “filiera” 

Per Melandri, la strada non è de-rubricare la normativa in materia di finanza sostenibile e ESG, che pur riconosce intricata e complessa per il sistema produttivo e le sue filiere. Piuttosto occorre individuare strumentazione di affiancamento alla normativa. Per farlo, bisogna includere tutti gli stakeholder ai tavoli di lavoro, a partire dalla finanza mainstream (fondi pensione, casse previdenziali, investitori istituzionali). Adottare l’ottica di “filiera” e non concentrarsi esclusivamente sui “singoli soggetti” in tema di rendicontazione di sostenibilità è l’approccio da perseguire anche per Pierluigi Stefanini, Presidente di ASviS. Questo aiuterebbe a produrre l’effetto sistemico che la normativa europea, pur con i suoi limiti, si prefigge di accompagnare. “Il tema della relazione di sostenibilità va inteso non in chiave di obbligo formale ma quale spinta a trasformarsi, ovvero a innovarsi. Questo anche a garanzia di una maggiore profittabilità per le imprese” chiarisce.  Precisa tuttavia che ciò non potrà realizzarsi se non attraverso lorientamento dei capitali verso iniziative di accompagnamento del sistema produttivo, a partire dalle PMI. Stefanini sottolinea il ruolo decisivo che in questo momento hanno le associazioni di rappresentanza delle imprese e la responsabilità “politica” di coinvolgere le giovani generazioni nel percorso verso la sostenibilità. 

PMI e ESG

Dai dati citati da Francesco Bicciato, Direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile, si rileva una certa consapevolezza in tema ESG da parte delle PMI italiane. Dall’edizione 2024 della ricerca emerge che il 62% delle imprese pone maggiore attenzione agli aspetti ESG e il 52% ritiene che questi ricoprano un ruolo molto imporante nelle scelte di investimento. Sono gli stakeholder stessi a richiedere un maggiore impegno verso l’inclusione dei fattori ESG in azienda: i clienti (indicati dal 42% delle aziende che hanno ricevuto richieste sul tema), seguiti dai fornitori (26%) e dalle banche (19%), che si confermano il principale interlocutore finanziario delle PMI. Mediamente, 1 PMI su 2 dichiara di conoscere bene o di aver adottato almeno uno strumento di finanza sostenibile. Inoltre, in futuro, il 70% delle PMI potrebbe prendere in considerazione strumenti di questo tipo..

Oltre la CSRD, sistematizzare la normativa

Parlando di PMI e transizione, il punto caldo sembra, senza troppa sorpresa, la normativa europea. Non solo perché, come da sua naturale funzione, il sistema di norme – dalla SFDR alla CSRD, passando per la Tassonomia ambientale – guida e dà il perimetro dell’azione richiesta e possibile. Nel caso specifico, anche perché il complesso regolatorio in tema di finanza e transizione appare piuttosto articolato e impegnativo. Questo vale per i soggetti chiamati direttamente o indirettamente a perseguire azioni di cambiamento e allineamento alla normativa. Il sistema attuale di regole è difficile da comprendersi oltre che da attuarsi per le PMI, nei tempi e nei modi richiesti. Lo confermano Antonio Cuoco e Paola Picone, della Direzione Generale per la politica industriale, la riconversione e la crisi industriale, l’innovazione, le PMI e il made in Italy, del MIMIT. Sottolineano come dai percorsi di ascolto costante dell’ecosistema emergano forte preoccupazione e difficoltà non solo di attuazione, ma anche di orientamento tra le numerose norme e obblighi. Siamo, infatti, ancora fuori da un quadro regolatorio organico e sistemico. Cuoco ha sottolineato l’impegno costante della Direzione, pur riconoscendo la necessità di un’azione sistemica. “Manca una policy organica perché manca un approccio trasversale sulla transizione. Questo si riflette nella pubblica amministrazione in termini di maggiore complessità e necessità di interazione, dunque di burocrazia”, ha detto. Riconosce come nel sistema degli incentivi e delle misure pubbliche – che rimane sostanzialmente banco-centrico – ci sia qualcosa da migliorare sul profilo rischio – rendimento in chiave ESG. Al tempo stesso sottolinea che non può essere questo l’unico strumento in campo.

Think small first, regole a misura di piccole medie imprese

In tema di transizione e sostenibilità, “le PMI – sostiene Paola Picone – devono poter contare su politiche che siano disegnate per loro e su di loro e non mutuate da un approccio che guarda prevalentemente alle grandi aziende.”Con la nostra Direzione – ha spiegato – sposiamo l’approccio del “think small first” perché crediamo che questo potrà portare a maggiore accesso al credito, maggiore sostegno e minori oneri burocratici per le PMI che si impegnano sul green e digital”. “Andrebbe applicato uno SME – filter“, ha concluso Picone, ovvero un sistema di valutazione ex ante degli impatti delle nuove norme sulle PMI.
Sull’opportunità di un approccio “think small first” concorda Valentina Zadra, Presidente del Consiglio di amministrazione di Alternative Capital Partners SGR e rappresentanza AIFI.  Sottolinea innanzitutto come nel private equity l’ESG non rappresenti più un elemento di novità dal momento che l’85% dei soggetti lo ha incorporato nelle proprie strategie.

Il “nodo” degli investimenti a impatto

Il nodo per Zadra è affrontare il problema della remunerabilità ridotta nel medio periodo per gli investitori a impatto. Evidenzia come mentre sulla dimensione della “E” gli investimenti registrino un andamento di progressiva crescita di efficienza nel tempo, per la “S” e la “G” si registri un andamento parabolico inverso (da analisi Consob, 2024). Questo significa che sulla curva del tempo aumenta l’efficienza nelle fasi iniziali e finali, mentre si perde di competitività proprio nella fascia centrale che, nell’attuale quadro, è chiave per la remunerazione dell’investimento stesso. Sono due i livelli di azione, dal punto di vista dell’investitore a impatto, come rappresentato da Zadra. “A livello micro, afferma, occorre attualizzare la normativa di stabilità di Banca d’Italia, per quel che riguarda i fondi di private equity, così da rendere l’orizzonte temporale dell’investimento appetibile per gli investitori istituzionali. Sul livello macro occorre che la transizione giusta si affronti in chiave sistemica, senza disgiungere in modo forzato la dimensione ambientale da quella sociale, e in questa chiave saremo necessariamente sempre più spinti verso la finanza a impatto”. Ultimo ma non ultimo, occorre lavorare allo sviluppo di nuovi strumenti.

Opportunità per “PMI a impatto”

In tema di strumenti interviene Guido Vezzani, Associate Loan Officer della European Investment Bank – EIB. Riporta l’esperienza BEI in termini di prestito intermediato, sottolineando l’attenzione specifica a PMI e territorio di destinazione che un tale meccanismo permette di esercitare. “Il nostro modello di intervento parte e fa riferimento alla Tassonomia UE, ma con l’intermediazione della banca viene cucito sulle esigenze industriali specifiche di ciascun territorio”.
Sulle opportunità di sperimentazione e sulla necessità di innovare gli strumenti a supporto di PMI orientate all’impatto, è intervenuto anche Davide Ciferri, Coordinatore delle attività e delle funzioni dell’Unità di missione per l’attuazione degli interventi del PNRR del MIT. Riconoscendo l’occasione sostanzialmente mancata del PNRR per la finanza a impatto, Ciferri individua nel Codice degli appalti un’area di lavoro interessante per innovare approcci e strumenti del procurement e delle partnership pubblicoprivato. Ciferri riconosce che “le PMI sono uno dei protagonisti della transizione, ma è necessaria una spinta più forte sulle PMI a impatto. “Il PNRR, come anche il Green Deal – sottolinea – hanno dato una spinta importante alla programmazione pubblica nel medio lungo – termine, precedentemente non scontata, che genera una domanda pubblica in linea con gli impatti stabiliti dalle politiche europee. Si tratta di un’opportunità per il mercato, che andrà ad essere fortemente orientato dalla domanda pubblica. L’offerta dovrà essere pronta”.

“Non bisogna scoraggiarsi ma innovare”

Si concorda tutti sul Piano Draghi come prossima opportunità da non mancare per spingere il mercato verso economia a impatto. Stefanini suggerisce di lavorare in questa chiave già sull’esistente, con particolare cenno al Pilastro sociale e al FSE+ (Fondo Sociale Europeo plus).”Per entrare nell’età adulta dell’impact economy dobbiamo capire come sostenere quelle imprese e quei fondi che vogliono davvero fare la differenza. Non bisogna tornare indietro ma innovare, inventare e chiamare al tavolo soggetti istituzionali, soggetti finanziari e investitori, grandi imprese, aziende e PMI” ha rilanciato Melandri. Mentre amiamo chiudere queste note di lavoro, che accompagneranno riflessioni e lavori di SIA nei prossimi mesi, con le parole e l’esortazione del presidente Stefanini: “Non bisogna scoraggiarsi ma innovare” e aggiungiamo… e fare dell’advocacy un lavoro comune.

𝐒𝐈𝐀 𝟐𝟎𝟑𝟎 è il 𝐛𝐥𝐨𝐠 di Social Impact Agenda per l’Italia sulla 𝐅𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐚 𝐈𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐃𝐆𝐬.

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